Obbedire Distrugge la mia Libertà?
Perché l'Obbedienza non è sinonimo di Oppressione
Ieri, alcuni rappresentanti del popolo di Dio hanno compiuto un gesto antico e sempre sorprendente: hanno rinnovato la loro obbedienza al Papa. Un atto che, oggi più che mai, solleva domande. È ancora un bene obbedire? E soprattutto: l’obbedienza ci priva della libertà?
Nel sentire comune, “obbedienza” suona come sottomissione cieca, sinonimo di abuso o perdita di sé. Eppure, nel Nuovo Testamento, l’obbedienza è il cuore della vita di Gesù. In Filippesi 2:8, Paolo ci mostra un Cristo che si abbassa “fino alla morte”, spinto dall’obbedienza. La sua obbedienza, però, è un’offerta libera, un dono pieno di sé. Come scrisse fr. Timothy Radcliffe, l’obbedienza cristiana è «un gesto eucaristico di folle libertà».
Obbedire, allora, non è spegnere la libertà, ma viverla fino in fondo. Non si tratta di una “libertà da”, un essere sciolti da ogni vincolo tipico dell’individualismo moderno, ma di una “libertà per”: per amare, servire, costruire insieme. Come nello sport, dove le regole non opprimono ma rendono il gioco possibile, così nella vita l’obbedienza apre spazi di creatività e comunione.
In un mondo che teme ogni vincolo, l’obbedienza vissuta come risposta d’amore è uno scandalo fecondo. È la via verso quella libertà piena che solo l’amore rende possibile: la libertà di essere per gli altri.
Immagine: Giotto, Conferma della Regola da Innocenzo III (1295) da Wikimedia Commons