Guerra, Verità e Globalizzazione (2)
Quando la Retorica diventa un'Arma
Quando pensiamo alla guerra, di solito pensiamo alle armi: bombe, fucili, droni. Ma come ci ricorda Fratelli tutti, le guerre moderne si combattono anche con qualcos'altro: l'informazione. O meglio, con la sua manipolazione. Come scrive Papa Francesco:
«[F]acilmente si opta per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione. Di fatto, negli ultimi decenni tutte le guerre hanno preteso di avere una “giustificazione”». (Fratelli tutti, 258)
È un pensiero che fa riflettere. Significa che oggi la questione se una guerra sia moramelmente ammissibile può essere decisa non in basedalla verità o alla giustizia, ma da chi controlla la narrazione. Ciò rende il giudizio morale, già difficile in materia di guerra, ancora più arduo.
Quando i governanti e le nazioni sono costantemente esposti a media politicizzati, disinformazione e pressioni da parte di schieramenti ideologici, diventa quasi impossibile prendere decisioni non influenzate da pregiudizi o manipolazioni.
Eppure, la tradizione della guerra giusta attribuisce una grande responsabilità ai governanti. Essi devono valutare le cause della guerra con un giudizio prudente e meticoloso. Ma cosa succede quando tale giudizio è offuscato, non solo dalla fragilità umana, ma da un'intera cultura di manipolazione e propaganda?
Oltre la semplice intuizione morale
Questo problema non è nuovo. Nelle origini medievali della teoria della guerra giusta, figure come Agostino e Tommaso d'Aquino presumevano che una delle parti in conflitto fosse chiaramente nel giusto e l'altra nel torto. Ciò è comprensibile nel loro contesto storico, ma ha anche reso facile equiparare la vittoria alla giustizia. Chiunque finisca per vincere dovrebbe essere dalla parte giusta!
Il risultato, come hanno sottolineato degli studiosi moderni, è una tendenza a far coincidere il discernimento morale con l'interesse politico. Se la parte vincente sostiene di essere giusta e non c'è nessuno che la chiami a rispondere delle sue azioni, allora la giustizia diventa ciò che il vincitore dice che essa sia.
Ecco perché la Chiesa odierna chiede istituzioni forti e imparziali che possano aiutare a determinare quando l'inizio di una guerra è veramente giustificato (ius ad bellum) e garantire che sia combattuta in un modo giusto e più umano possibile (ius in bello).
Senza tali istituzioni, ogni nazione diventa giudice e giuria di se stessa. In un mondo del genere, quasi ogni guerra può essere dichiarata “giusta” e ogni atto di guerra può essere razionalizzato. Questa è una “ricetta “per una violenza senza fine, mascherata da una propaganda distorta.
La necessità di una responsabilità globale
Istituzioni come il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o la Corte internazionale di giustizia possono non essere perfette, ma la loro esistenza riflette una verità importante: la giustizia in guerra non può venire dall'interno del conflitto. Deve venire dall'esterno.
Se la Chiesa ha imparato qualcosa dalla storia del secolo scorso, è che la forza non basta per avere ragione. E in un mondo globalizzato, dove ogni guerra non riguarda solo i Paesi coinvolti, questo diventa ancora più urgente.
Quando il diritto internazionale viene ignorato o minato, la guerra diventa una questione di potere, non di giustizia e verità. Ma quando il diritto viene rispettato e applicato in modo coerente, facciamo un passo verso un mondo in cui la pace diventa qualcosa di più di un pio desiderio.
Nessuna guerra è solo un “confilitto locale”
Papa Francesco sottolinea un punto fondamentale che spesso viene trascurato: oggi la guerra non è mai semplicemente “locale”.
La crescente globalizzazione”, scrive, significa che anche quando una guerra sembra limitata a una regione specifica, può comunque avere effetti devastanti su tutto il mondo: collasso economico, crisi dei rifugiati, danni ambientali e altro ancora (Fratelli tutti, 259).
Viviamo, come egli stesso afferma, in una “guerra mondiale combattuta a pezzi”. Questa frase riassume ciò che vediamo nei titoli dei giornali: non una grande guerra mondiale, ma una serie di guerre più o meno, ciascuna con ripercussioni che vanno ben oltre i propri confini.
Questa interconnessione rende molto più difficile applicare alcuni dei criteri tradizionali della guerra giusta, come la “ragionevole possibilità di successo” o la “risposta proporzionata”. Come misuriamo la proporzionalità di un attacco che destabilizza una regione per generazioni? Come possiamo affermare che si tratta di un successo se quella “vittoria” lascia dietro di sé un disastro umanitario?
Cosa tutto questo significa per noi
Tutto ciò ci porta a una verità semplice ma difficile: non possiamo giudicare le dinamiche belliche come facevamo prima. Il nostro quadro di riferimento morale deve tenere conto non solo delle motivazioni, ma anche delle armi, della comunicazione e delle conseguenze globali.
L'insegnamento cattolico non ci dice che ogni guerra è necessariamente sbagliata. Ma ci avverte, con più urgenza che mai, che la strada verso una guerra giusta è stretta e che non possiamo percorrerla da soli, accecati dalla propaganda e senza il controllo di un'autorità superiore a supervisionare.
Nel nostro mondo, la pace richiede più delle buone intenzioni. Richiede il coraggio di affrontare le menzogne, di rafforzare le istituzioni che proteggono gli innocenti e di riconoscere che ogni guerra combattuta oggi è una guerra combattuta contro la nostra casa comune. Alla fine, c’è tutto da perdere e ben poco da guadagnare.
Questo è il secondo di una serie di tre articoli sull'insegnamento contemporaneo della Chiesa sui conflitti armati e la guerra giusta.
Grazie per questo costante invito alla riflessione!