“Vecchiaia veneranda non è quella longeva,
né si misura con il numero degli anni;
[Il giovane] giunto in breve alla perfezione,
ha conseguito la pienezza di tutta una vita”. (Sap 4, 8.13)
Una domanda che mi sono fatto spesso negli ultimi tempi è: “Esiste l'età giusta per morire?” Si potrebbe rispondere che cento anni andrebbero bene un po’ per tutti! Tuttavia, a pensarci bene, non credo che basti essere semplicemente anziani per potersi dire pronti.
Spesso, infatti, anche la morte di una persona anziana può lasciare un vuoto apparentemente incolmabile per i familiari; inoltre, si può anche essere molto avanti negli anni ma ancora così attaccati a questa vita terrena tanto da essere fino alla fine tremendamente terrorizzati dalla morte.
Per non parlare del fatto che ci sono delle vite di molti santi che sembrano ancora confermarci che non è solo una questione età anagrafica. Tanti di loro sono infatti morti giovani, anche giovanissimi, eppure sembrano essere stati più che pronti a questo passaggio misterioso che è la morte. Tutti noi conosciamo le loro storie, eppure a nessuno viene istintivamente da commiserarli e dire magari: “Povero lui, povero lei, così giovane con tutta la vita davanti!”.
Infatti, sebbene sia stata breve, intuiamo col cuore come la loro vita sia stata una vita piena e compiuta, per il fatto che è stata un’esistenza piena di amore. Questo fa sì che non li sentiamo lontani e perduti nel nulla, anzi li percepiamo spesso molto vicini a noi pur non avendoli mai conosciuti, quasi fossero diventati dei compagni di camino accanto a noi.
Pensate per esempio al beato Carlo Acutis che il 3 maggio scorso avrebbe compiuto trentatré anni, ma che è morto nel 2006 quando ne aveva solo quindici. Carlo ha vissuto la sua brevissima vita pieno d'amore per il Signore e per i bisognosi che incontrava. Da qualche anno, tanti fedeli in tutto il mondo hanno imparato ad amarlo e a sentirlo vicino come un conforto e una presenza quotidiana tangibile.
Molto simile a Carlo Acutis è il beato Piergiorgio Frassati, laico domenicano che sarà canonizzato l’anno prossimo, anche lui giovane di una famiglia benestante morto per una malattia fulminante a soli ventiquattro anni. Il suo funerale nel 1925 era gremito da tutta quella gente bisognosa che lui aiutava così frequentemente tanto da restare puntualmente squattrinato. A quella vista inaspettata, il padre di Piergiorgio esclamò stupito: “Io non conoscevo mio figlio”. Anche in questo caso abbiamo una vita spezzata nel fiore della gioventù, ma così profumata d'amore da non lasciare spazio ad amarezza e rimpianti.
Il 4 maggio, poi, è anche la memoria liturgica di una beata forse meno conosciuta: Sandra Sabattini. Questa giovane morì in un incidente a soli ventidue anni mentre si recava a un incontro della Comunità di cui faceva parte col suo fidanzato e con la quale si impegnava nell'aiutare i disabili e i tossicodipendenti. Sentite cosa scriveva lei stessa nel suo diario due giorni prima di quell'incidente fatale del 2 maggio 1984: “Non è mia questa vita che sta evolvendosi, ritmata da un regolare respiro che non è mio, allietata da una serena giornata che non è mia. Non c'è nulla a questo mondo che sia tuo. Sandra, renditene conto! È tutto un dono su cui il “Donatore” può intervenire quando e come vuole. Abbi cura del regalo fattoti, rendilo più bello e pieno per quando sarà l'ora”.
La lista di questi santi così giovani è davvero lunga; penso ai santi Francisco e Jacinta Marto di Fatima, a san Domenico Savio, a san Luigi Gonzaga, a santa Teresina di Lisieux e a molti altri ancora. Tutti questi testimoni ci insegnano che si può sorridere alla morte, la quale resta inevitabile per tutti, non se si raggiungono cento anni, ma solo se si vive solo d'amore e per amore!
Questo è quello che ci vuole insegnare Gesù che nel Vangelo ci lascia il comandamento di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amato (Gv 15, 12). Il mio confratello domenicano Adrien Candiard sottolinea il fatto che la parola “come” in questo comandamento del Vangelo di Giovanni non significa una imitazione per noi impossibile dell'amore di Gesù, ma “indica in realtà l'origine: amatevi gli uni gli altri con l'amore con cui io vi ho amato, con l'amore che io, Gesù, vi do, con l'amore con cui io vi amo. […] È perché voi siete amati che potrete amare” (La grazia è un incontro. Se Dio ama gratis, perché comandamenti?, p. 73).
È solo l'amore di Gesù che ci libera dalla schiavitù del peccato che è sempre mancanza di amore e offesa all'amore. La Lettera agli Ebrei ci insegna che ogni peccato, ogni chiusura nei confronti dell’amore, è strettamente legata alla paura della morte; Gesù ci ha liberati dal diavolo che ci tiene schiavi per tutta la vita attraverso paura della morte (cfr. Eb 2, 14-15). Essa è alla base di ogni nostro peccato perché ci fa credere che possiamo evitare la morte vivendo solo per noi stessi, sempre sulla difensiva nei confronti degli altri e non regalando niente di ciò che siamo e possediamo.
Al contrario, Gesù ci insegna che solo chi perde la sua vita la trova, solo chi dà gratuitamente senza sperare nulla in cambio alla fine raggiunge un modo di esistere che rimane in eterno (cfr. Mt 16, 25). Una vita offerta per amore, anche se finisce apparentemente troppo presto, è già una vita compiuta perché corrisponde al progetto che Dio ha iscritto nell'universo: Lui che è Amore vuole che tutto funzioni secondo la sua stessa logica di dono gratuito senza compromesso e viva la sua stessa vita di affetto profondo senza misura.
Allora essere pronti per morire in ogni istante significa lasciar vincere il nostro egoismo dall'amore di Gesù e amare a nostra volta senza farci troppo i conti in tasca. Solo questo può rendere la nostra vita gioiosa e compiuta, qualunque sia il momento e l'età della nostra morte. Infatti, come ha detto il domenicano inglese Herbert McCabe: “Se ami, sarai ferito e persino ucciso. Se non ami, sei già morto”.
Immagine: G. Klimt, Morte e Vita, 1910/15 daWikimedia Commons