Disarmo, Vulnerabilità e Dialogo (3)
La Via del Vangelo incontro alla Pace
Nel mondo globalizzato e interconnesso di oggi, evitare nuovi conflitti non è più sufficiente. Se desideriamo davvero la pace—non una tregua fragile, ma quella pace autentica che riflette il Regno di Dio—dobbiamo cercarla per altre vie, più profonde e più radicali. Una di queste vie è la chiamata al disarmo radicale.
La falsa promessa della deterrenza nucleare
Durante la Guerra Fredda, la deterrenza era vista da molti come un male necessario: un modo per scongiurare la catastrofe minacciando la catastrofe. Ma anche allora, per l’etica cristiana, si trattava di un terreno scivoloso. Oggi, con un numero crescente di Stati armati, sistemi automatizzati e tensioni globali in aumento, la verità è sempre più evidente: la deterrenza non è pace. È paura.
Benedetto XVI ha definito l’affidamento sugli armamenti nucleari non solo “funesto”, ma “del tutto illusorio”. In una guerra nucleare, affermava, “non ci sarebbero vincitori, ma solo vittime”. Papa Francesco va anche oltre: l’abolizione delle armi nucleari non è un’opzione, ma “un imperativo morale e umanitario” (Fratelli tutti, 262). Egli ci invita a guardare oltre le dottrine strategiche, verso il costo umano della guerra: famiglie sfollate, bambini feriti, genitori in lutto.
L’idea che la stabilità globale possa poggiare indefinitamente sulla minaccia di distruzione di massa è, come ha scritto John Finnis, una posizione “o ingenua o colpevole”. In entrambi i casi, è qualcosa che non possiamo accettare in silenzio.
Non strategia, ma sequela
La Chiesa oggi, più chiaramente che mai, riconosce che la deterrenza non conduce alla pace ma la ostacola.
Numerosi pensatori cristiani lo hanno denunciato apertamente, sia nella riflessione sia nell’impegno civile. John Finnis ha sostenuto con forza che la deterrenza nucleare implica la disponibilità a commettere uno sterminio di massa.
Nel libro Nuclear Deterrence, Morality and Realism (1988), scritto insieme ad altri autori, la deterrenza viene criticata non perché i cristiani debbano essere ingenui rispetto alle minacce globali, ma perché nessuna esigenza strategica può giustificare il bersaglio deliberato di innocenti.
Secondo gli autori, la deterrenza è un impegno pubblico a compiere il male — una minaccia di annientamento delle popolazioni civili — se “necessario.” In questo senso, la deterrenza diventa una politica di violenza condizionata. Ma i cristiani non costruiscono la pace attraverso minacce. Seguono Cristo, che ha affrontato il male non con una forza più grande, ma con l’amore.
La logica della deterrenza appartiene al mondo del calcolo utilitarista. La logica del Vangelo appartiene alla croce. Si fonda sulla vulnerabilità, non sul dominio. Nel momento in cui giustifichiamo il male “per un bene superiore”, iniziamo a smarrire il cammino indicatoci da Gesù.
Fidarsi di Dio, non delle minacce
Questa posizione non nega il diritto alla legittima difesa. La Chiesa ha sempre difeso il diritto alla protezione della vita innocente. Ma ciò che Finnis e altri sottolineano è questo: anche nel difendere l’innocente, non possiamo distruggere intenzionalmente altri innocenti in risposta. La logica della deterrenza oltrepassa quel limite.
I cristiani non sono chiamati ad essere passivi o ingenui. Sono chiamati ad agire entro le proprie possibilità, confidando a Dio l’esito. Come afferma Finnis: “Non siamo responsabili di tutto — solo di ciò che è in nostro potere.” È il coraggio di agire in modo giusto e umano — anche in un conflitto legittimo — anche quando farlo appare vulnerabile o costoso.
La deterrenza ci chiede di accettare la minaccia del massacro come garanzia. Il Vangelo ci chiede di rifiutare tali minacce. Non è imprudenza. È fede nella Provvidenza di Dio, che tutto abbraccia. Come sostiene Finnis, la Provvidenza divina non ci chiede di garantire il futuro con le minacce, ma di agire con fedeltà entro i nostri limiti, confidando nella giustizia ultima di Dio. Così, il Vangelo ci chiama a incarnare la pace fin da ora, anche a costo di una certa vulnerabilità.
Mai essere tra i carnefici
La guerra quasi mai divide il mondo in maniera netta tra vittime e carnefici. Ma davanti al tribunale di Dio, dobbiamo chiederci: dove vogliamo essere trovati? Tra coloro che hanno brandito la minaccia di annientamento? O tra coloro che, pur vulnerabili, hanno rifiutato di costruire la pace con la minaccia del massacro?
L’Incarnazione e la Croce ci insegnano quale tipo di potere Dio ha abbracciato. Riconosco che questo cammino è più facile da vivere a livello personale che da applicare a livello politico. Le decisioni che coinvolgono intere nazioni sono complesse e applicare i valori evangelici alla geopolitica è complesso.
Ma la direzione della sequela di Cristo deve sempre orientarsi verso la pace. Questo significa dare reale priorità — non solo gesti retorici — a strade non violente fondate sul dialogo, sulla diplomazia e sulla speranza della riconciliazione.
Infatti, come disse Papa Pio XII poco prima della Seconda Guerra Mondiale:
“Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra.”
Questo post è l’ultimo di una serie di tre articoli sull'insegnamento contemporaneo della Chiesa sui conflitti armati e la guerra giusta.
Immagine di Mirosław i Joanna Bucholc da Pixabay