Ieri era Pentecoste. Avete ricevuto lo Spirito? No, sul serio: fiamme sulla testa? Lingue di fuoco? Avete iniziato a parlare in aramaico senza averlo mai studiato?
Scherzi a parte, forse la domanda più seria è proprio quella che San Paolo pone ai discepoli che incontrò ad Efeso: «Avete ricevuto lo Spirito Santo?». E loro rispondono: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo» (At 19,2).
Nel 1897, papa Leone XIII faceva una constatazione che certamente è valida ancora oggi:
«Forse non mancano ai nostri giorni di quelli [tra i cristiani], che se fossero interrogati, come una volta certuni dall’apostolo Paolo, se avessero ricevuto lo Spirito Santo, risponderebbero anch’essi: “Noi non sappiamo neppure se lo Spirito Santo esiste”».
(Enciclica sullo Spirito Santo Divinum illud munus)
E noi? Lo Spirito Santo – il “Dimenticato della Trinità” – è presente, ma spesso trascurato. Come l’aria che respiriamo: essenziale, ma invisibile. Come il respiro stesso: vitale, costante, eppure di solito lo facciamo senza pensarci. Così dovrebbe essere la nostra vita nello Spirito: naturale, essenziale, continua.
Respirare nello Spirito significa lasciarlo agire in ogni momento della nostra giornata, anche senza effetti speciali. Non serve aspirare a fenomeni straordinari.
Basta imparare a invocarlo con semplicità: prima di un incontro, una decisione, un compito, per farlo bene; dopo, per lasciare che sia Lui a correggere i nostri limiti con gratitudine e umiltà. Basta un respiro e un sussurro: “Vieni, Santo Spirito”.
Il risultato? Forse non parleremo lingue sconosciute, ma potremmo iniziare a parlare con pazienza, con pace, con perdono. E questo, con tutta franchezza, sarebbe già un miracolo. L’inizio di una vita fuori dall’ordinario.
Immagine: Holy Spirit as a dove, by Gian Lorenzo Bernini, in the apse of Saint Peter's Basilica, c. 1660 da Wikimedia Commons