Abbracciare la propria vulnerabilità
Come rendere possibile l'impossibile
Un dialogo sulla Parola della Terza Domenica di Avvento
R. Millan, Il Bambino Gesù dà dell’acqua a Giovanni Battista
RICHARD: Caro Giovanni, in questi giorni potremmo chiederci cosa stesse pensando san Paolo quando scrive "siate sempre lieti" ai Tessalonicesi nel brano che ascoltiamo oggi in chiesa. Non per dire che Paolo abbia scritto cose senza senso o che la Sacra Scrittura sia sbagliata. Tuttavia come possono le letture di oggi essere una buona notizia per noi in questa terza domenica di Avvento? Nonostante la terza candela d’Avvento sia stata accesa e il colore liturgico sia il rosa anziché il viola, non sembra un momento di grande gioia questa domenica Gaudete. Cosa fare allora? Dove trovare la gioia in questi tempi bui? L'esempio di San Giovanni Battista nel Vangelo di oggi potrebbe darci qualche spunto.
Quando a Giovanni viene chiesto: "Chi sei?", egli dà una risposta piuttosto particolare. Invece di dire: "Io sono Giovanni", comincia a dire chi egli non è. Quindi dice: "Non sono il Cristo, non sono Elia, non sono il profeta". E poi, citando il profeta Isaia, dice: "Io sono una voce che grida nel deserto". Giovanni si svuota completamente (ciò che chiamiamo “kenosi” ) per diventare uno strumento nelle mani di Dio per preparare la via del Signore. Il messaggio, la vita e l'opera di Giovanni non riguardano Giovanni, ma Cristo. E, a causa di Cristo, Giovanni si rende vulnerabile, indegno. Ma in questa vulnerabilità e indegnità risiede la sua forza.
Caro amico, un modo per comprendere il messaggio di Natale è vedere come il nostro accesso a Dio sia proporzionale alla nostra vulnerabilità. Giovanni si rende vulnerabile per Cristo, e Dio si rende vulnerabile in Cristo, nascendo in una mangiatoia tra le persone deboli ed emarginate della società per le quali non c'era, e non c'è tuttora, posto.
"Dobbiamo essere aperti a Dio e agli altri, e questo significa essere disposti a soffrire con o per gli altri, a dipendere dagli altri e quindi a essere vulnerabili nei loro confronti. Sì, vulnerabili anche alle loro paure. Solo nella vulnerabilità agli altri diventiamo forti in noi stessi, perché è l'altro che dà struttura al mio “io”. Il fenomeno di un individuo da solo risulta meno di un individuo, mentre il fenomeno di un individuo vulnerabile all'altro diventa più grande della somma delle sue parti, e trasforma la paura in fortezza". (Robert Hamerton-Kelly, sermone del 14 dicembre 2008).
Noi, semplici esseri umani, lottiamo ancora con l'idea della vulnerabilità, soprattutto della vulnerabilità di Dio. Vogliamo che Dio sia potente e forte. Vogliamo che Dio porti via tutti i nostri mali attuali in un colpo solo e ci restituisca il Buon Natale che tutti desideriamo. Ma, amico mio, invece di agire dall'alto, Dio scende a condividere la nostra vulnerabilità in questo Natale. Ancora una volta, Dio si assume il rischio dell'amore per deporre se stesso tra le braccia umane come un bambino indifeso. E quel piccolo bambino vulnerabile in una mangiatoia viene consegnato a ciascuno di noi a Natale. Che cosa faremo?
Con ogni probabilità molti di noi lo riconsegneranno o si rifiuteranno di prendere il bambino, perché sono ancora arrabbiati per il fatto che “il Natale come lo conoscevamo" ci è stato portato via. Alcuni di noi potrebbero essere aperti e prendere il bambino tra le braccia, accogliendo il messaggio natalizio per quello che è: accettare la responsabilità di un qualcuno vulnerabile perché noi siamo vulnerabili. Quando osiamo farlo, scopriremo che in questa vulnerabilità condivisa iniziamo a trovare Dio. In mezzo alle crisi attuali, cominciamo a vedere un po' di luce. Questo rafforzerà i nostri cuori e ci darà il coraggio di andare avanti.
Ora, se questo è vero, se il messaggio natalizio riguarda la ricerca del coraggio e della speranza, e persino di Dio stesso, in mezzo alle crisi e alla nostra vulnerabilità, allora San Paolo aveva ragione. Dovremmo essere felici in ogni momento. E dovremmo essere che Dio ci viene incontro nelle nostre crisi e in una "Notte silenziosa" (Silent Night), trasformando la nostra paura in fortezza.
N. Poussin, La Natività
GIOVANNI: Caro Richard, sembra che seguire l'indicazione di "essere sempre lieti" non sia l'unica sfida apparentemente impossibile che San Paolo ci presenta oggi. Infatti, come può pure chiederci di "pregare ininterrottamente" e persino di "rendere grazie in ogni cosa"? In mezzo alle nostre attività quotidiane, come possiamo pregare incessantemente? E quando ci troviamo sotto un acquazzone senza ombrello (volendo fare l'esempio più banale), come potremmo mai essere grati?
La risposta a queste domande è tutt'altro che scontata. Se tento una risposta è soprattutto a causa dei lunghi mesi di silenzio trascorsi nel mio noviziato e dello sforzo di riempire il tempo cercando di vivere un po' della saggezza dei Padri del deserto. Credo che la risposta riguardi ancora una volta la riconciliazione con la nostra vulnerabilità, che tu ha menzionato in riferimento “all'essere sempre lieti".
Il desiderio di adottare l'insegnamento neotestamentario di pregare ininterrottamente ha dato origine in Oriente alla pratica della cosiddetta "preghiera del cuore" o "preghiera di Gesù". Il testo è estremamente essenziale: "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore". I monaci recitano questa preghiera quasi di continuo, facendo costante memoria di Dio (memoria Dei), e ne escono radicalmente trasformati.
Ovviamente la maggior parte dei cristiani non può dedicare l'intera giornata alla recita ininterrotta della Preghiera di Gesù. Tuttavia, tutti noi possiamo coltivare durante la giornata questo atteggiamento spirituale di memoria Dei. Anche un breve momento, magari con una semplice recita mentale di questa preghiera, può alimentare in noi quella vita dello Spirito che prega in noi anche quando non ne siamo consapevoli.
Alcuni potrebbero interpretare la continua richiesta di misericordia e l'autoidentificazione come peccatori come un modo per demonizzare ancora una volta la nostra umanità, cadendo in una sorta di timoroso servilismo verso Dio. Ammetto che questo è un rischio, soprattutto all'inizio, ma non è certo il vero significato di questa preghiera!
Affermare davanti a Dio di essere peccatori come il pubblicano del Vangelo significa riconoscere la nostra vulnerabilità, la possibilità di essere feriti dagli altri e di ferire a nostra volta con le nostre scelte sbagliate. Riconoscersi in tale condizione non è solo un atto di verità verso se stessi, ma anche una costante apertura all'amore di Dio, che può e vuole trasformare la nostra vulnerabilità nella dimora della sua presenza misericordiosa.
Questa preghiera incessante non si limita alla nostra sfera intima ma, se autentica, è destinata a cambiare il modo in cui percepiamo il mondo. Il famoso “pellegrino russo” racconta come, grazie alla preghiera del cuore, abbia iniziato a sentire un amore ardente non solo per Gesù ma anche per tutte le creature. Come egli stesso afferma: "L'invocazione del nome di Gesù ha illuminato il mio cammino. Tutti mi trattavano bene, era come se tutti mi volessero bene; se qualcuno mi faceva del male, mi bastava pensare 'quanto è dolce la preghiera di Gesù' e l'offesa e la rabbia sparivano e dimenticavo tutto".
Quando il nostro sguardo sulla realtà e sugli altri viene trasformato in questo modo, possiamo essere in grado di "rendere grazie in ogni cosa", vedendo l'amore di Dio all'opera in ogni situazione, anche dove il male sembra avere il sopravvento.
Caro Richard, credo che abbiamo messo fin troppa carne al fuoco per questa domenica, e ciò di cui abbiamo parlato sembra così difficile da sembrare forse impossibile da mettere in pratica (si dovrebbe forse dare la colpa a San Paolo più che a noi!). Tuttavia, non dobbiamo perderci d'animo perché essere sempre felici, pregare costantemente e ringraziare per ogni cosa sono innanzitutto il frutto dell'azione di Dio in noi e non solamente il risultato dei nostri sforzi. Come ci dice ancora San Paolo, "Colui che vi chiama è fedele e farà tutto questo!". Ecco subito un buon motivo per essere lieti e rendere grazie!
Perché non unirti anche tu al nostro dialogo sulla parola di Dio? Puoi condividere i tuoi pensieri lasciando un commento qui sotto, sui nostri profili Facebook e Instagram o via mail a: dominicandispatches@gmail.com.